origine
L’origine.
Nel 1997 mio padre fu sottoposto allo stesso tipo d’intervento, gli fu detto che aveva una malformazione congenita alla valvola aortica, bicuspide anziché tricuspide. Io e mio fratello facemmo una ecografia cardiaca per valutare una eventuale ereditarietà dovuta a anamnesi familiare, infatti anche mia nonna soffriva di malattia cardiaca e presumibilmente (allora i mezzi d’indagine non erano quelli di oggi) poteva avere avuto la stessa malformazione.
Nel 1998 la ecografia al cuore e all’aorta evidenziò che l’aorta era in ordine ma c’era un leggero segno di allargamento della radice aortica; mi fu suggerito di praticare attività aerobica e di controllare periodicamente cuore e aorta.
2013 febbraio. Al controllo iniziarono a evidenziarsi le manifestazioni di dilatazione dell’aorta ascendente e c’era i primi segni di affaticamento. La valvola aortica non chiudeva più perfettamente il sangue quindi parzialmente rigurgitava (tornava indietro) nel ventricolo sinistro costringendolo a un maggior lavoro che determinava ipertrofia del ventricolo e un aumento del suo volume, l’asimmetria del muscolo cardiaco implicava anche una perdita di perfetta tenuta della valvola mitralica. Il sintomo che avvertivo era una sensazione di leggero affanno sotto sforzo (es: non riuscivo a parlare al telefono mentre camminavo a passo svelto). Il mio cardiologo mi prescrisse farmaci (diuretico e beta bloccante) e mi consigliò di seguire una dieta – non forzata – finalizzata al calo di peso. Mi fu spiegato con estrema chiarezza il mio problema (valvola insufficiente) e la soluzione: intervento di sostituzione con protesi meccanica in un futuro relativamente prossimo.
La cura ebbe effetti eccezionali, dopo circa dieci giorni l’affanno era sparito e l’impegno della dieta mi restituiva sempre più vigore.
2013 giugno. Al controllo una bella notizia: il cuore aveva risposto molto bene alla cura, il ventricolo era rientrato nelle dimensioni normali e tutto faceva sperare in un rinvio dell’intervento.
2014 marzo. Al controllo purtroppo si evidenziano nuovamente segni di cedimenti dell’aorta, il cardiologo mi consiglia un approfondimento ecografico anche presso un suo collega in modo da confrontare il parere di entrambi e, se in accordo, iniziare le procedure per la cardiochirurgia. Una ulteriore dimostrazione di correttezza e professionalità del mio cardiologo quando mi disse che voleva comunque il parere di riscontro da un collega terzo prima di decidere per l’intervento. Il collega che fece l’approfondimento disse che, secondo lui, i tempi erano prematuri per l’intervento riservandosi una valutazione dopo sei mesi anche con una ecografia transesofagea che avrebbe permesso una valutazione più accurata del difetto della valvola e misurazioni più precise.
Decisi di ampliare ulteriormente la conoscenza del mio problema sottoponendomi a indagini in altre strutture: avere più informazioni e opinioni è stato un elemento di forza che mi ha accompagnato in un percorso di sempre maggiore conoscenza fino alla decisione di operarmi. Molti affermarono che l’intervento non si sarebbe dovuto fare se non prima di dieci anni anche perché la valvola non appariva biscuspide e l’aneurisma all’aorta per ora non doveva destare preoccupazioni.
2014 giugno. Decido di fare una risonanza magnetica aderendo al suggerimento di una cardiologa (specialista in riabilitazione) di un noto centro specializzato in cardiologia di Milano.
Il risultato è: continuare con la stessa terapia e non preoccuparsi, l’intervento era ancora un qualcosa di molto prematuro. Mi fu cambiato il tipo di diuretico col vantaggio di avere una migliore gestibilità degli effetti dello stesso, ma in sostanza la terapia non era stata modificata.
2015 marzo. Lo stesso centro cardiologico mi ricovera per due giorni per fare una valutazione completa della funzionalità cardiaca (ECO, Prove da sforzo, Holter 24 ore, Risonanza, ecc.). Mi dicono che l’intervento andava fatto a brevissimo: giugno massimo settembre 2015. Mi avrebbero chiamato per avvisarmi con una settimana di preavviso. Qui ebbi un primo dubbio: 9 mesi prima intervento lontanissimo e ora addirittura imminente e urgente? Feci una semplice considerazione: evidentemente il mio cardiologo, a marzo, senza particolari approfondimenti diagnostici aveva letto qualcosa che non andava e prevedeva una rapida degenerazione.
Ho deciso di imparare a leggere da solo le misure effettuate su Risonanze e a capire anche di più di Ecografia, a capire come interpretare alcuni parametri quali: dimensioni del ventricolo, dilatazione dell’aorta, Frazione di eiezione, volumi e aree. Il Cuore è un organo bellissimo e affascinante e i principi di idrodinamica che presiedono agli scambi tra atrio ventricolo uscita e ingresso sangue, per me che sono un ingegnere, sono dimostrati con grande rigore anche se resi complessi dal fatto che questa pompa e le sue valvole ha la capacità di assumere una geometria variabile ad ogni ciclo di aspirazione e compressione.
Diventa relativamente semplice interpretare capacità e portate in corrispondenza delle valvole, l’aortica in particolare è una potentissima chiusura che è capace di far passare sangue alla sua pressione massima, richiudersi e evitare che torni indietro nella fase di aspirazione. Il mio problema era la valvola non chiudeva perfettamente e determinando due differenti fenomeni: il primo una distribuzione anomale di pressione all’attaccatura della arteria aorta con il cuore che quindi aveva sottoposto a fatica l’aorta in quel puto determinandone un cedimento (aneurisma); il secondo una non perfetta chiusura che in fase di aspirazione determinava rigurgito di sangue nel ventricolo costringendo lo stesso ad un surplus di lavoro nella fase di pompaggio.
Imi mio cardiologo un anno prima evidentemente aveva letto dall’ecografia segni di una rapido decadimento dell’aneurisma e conseguente compromissione del funzionamento della valvola e del cuore. Gli altri con strumenti di indagine più sofisticati non avevano forse letto gli stessi segni confidando in altri punti di vista. Ho infatti imparato che leggere correttamente una ecografia richiede una notevolissima esperienza le deduzioni infatti derivano dalla comparazione di varie misurazioni la cui combinazione fa si che ogni caso possa essere correttamente collocato in una posizione e da li con grande esperienza si cerca di capire la sua evoluzione. Nel centro cardiologico forse si era seguita una metodologia di analisi troppo legata ad un approccio notevolmente proceduralizzato (se c’è questo il risultato è questo) e poco incline ad una visione multidisciplinare e multi obiettiva. Avevo infatti percepita una sorta di lotta di posizione tra cardiologi e cardiochirurghi i primi ritengono di essere coloro che debbano governare il problema fino al limite con approcci farmacologici più o meno intensi, i secondi sapendo che prima o poi il destino di certe malattie è l’operazione tendono a accelerare i tempi potendo così contare sulla minima compromissione del cuore e quindi garantirsi maggior possibilità di ottima riuscita. Nel centro cardiologico avevo poi avuto l’impressione di un atteggiamento poco incline alla valutazione delle esigenze e delle domande del malato, i medici optavano per una strategia di comunicazione assertiva dalla quale poi traspariva una forte difesa degli aspetti sperimentali e di ricerca offerti dall’approccio ad ogni caso clinico. Ovviamente io qui parlo di mie sensazioni e lungi da me l’idea di esprimere un giudizio, non è ho ne la competenza ne l’intezione; ma affermazioni del tipo:
“non è lei che decide quando operarsi ma è il centro che decide secondo le sue disponibilità.” Immediatamente modificate quando io chiedo “scusi ma se decidessi di farmi operare in regime di solvenza (cioè pagando in proprio o con assicurazione l’intervento) ?" – con risposta e tono accogliente - “ ah beh in quel caso e ovvio che siamo a sua disposizione per decidere la data secondo le sue preferenze”, non aiutano un paziente “ paziente “ a maturare quella fiducia propria del rapporto con il medico.
Ecco questo mi è bastato per decidere di scartare a priori quel centro, nonostante li fosse stato operato mio padre nel ’97 e mia suocera per tre volte dal 2002 al 2012. Ho percepito una senso di de-umanizzazione del paziente, ho avuto la sensazione di essere candidato a diventare un “caso di studio” non Raimondo che aveva bisogno di una soluzione a un problema ma una caso sul quale applicare una soluzione. Capisco comprendo e condivido le esigenze della ricerca e del progresso in campo medico ma un paziente non è un inerte campione di prova è una persona che ha diritto alla piena conoscenza e a essere protagonista delle scelte che determineranno il suo stato di salute.